Come sarà lo sport e il calcio in particolare post Covid? Difficile dirlo, nessuno può saperlo con certezza in questo momento, i sociologi stanno studiando come sarà la nuova vita sociale, le federazioni dei vari sport stanno facendo altrettanto, con l’augurio che si pensi maggiormente al bene dello sport, piuttosto che a ben figurare davanti all’opinione pubblica con tante parole e pochi fatti. 

Io comunque ho una certezza :-): bisogna ripartire dalla persona. Dal giocatore. Dal ragazzo. Mi auguro che nel loro piccolo le società sportive abbiamo compreso come l’essere umano debba essere al centro di ogni progetto, investire sulla crescita nei giovani del settore giovanile, per avere uomini prima e giocatori poi, pronti a difendere i colori della maglia e con un senso di appartenenza molto forte.

Nel gennaio del 2014, Mister Rossitto mi chiamò a Pordenone per affiancarlo nella difficile sfida di far risalire la squadra ormai destinata alla retrocessione. Ultima in classifica in serie C (all’epoca LEGA PRO) a 6 punti dalla penultima e il morale dell’ambiente sotto i tacchetti. 🙂

Da grande allenatore ed esperto uomo di calcio, aveva compreso che il lavoro che doveva intraprendere, non poteva essere solo di campo, doveva essere un lavoro integrato tra la parte tecnica-tattica e quella fisica e mentale. Eravamo uno staff completamente nuovo rispetto alle gestioni precedenti, in poco tempo dovevamo integrarci e metterci l’uno a disposizione dell’altro, al servizio della squadra. Si creò un clima bellissimo, un’alchimia straordinaria anche con la parte medica (fisioterapisti e massaggiatori), li ho capito veramente che per allenare bene una squadra, lo staff è alla base di tutto. Rispetto dei ruoli, sinergia nel lavoro, il mister lasciava lavorare tutti, ci confrontavamo sistematicamente tra di noi sul lavoro svolto con continui feedback in campo e fuori. I giocatori avevano percepito questa nostra coesione e si è fatta trascinare, hanno compreso che noi ci credevamo davvero e che eravamo li per loro, a loro disposizione. 

Come ogni squadra che si deve salvare e non ha grandi doti di palleggio, il mister iniziò subito con un carico di allenamenti importante a livello fisico, con sedute intense alle quali i giocatori non erano abituati. Con nostra grande sorpresa notammo che tutti si misero a lavorare senza lamentarsi, anzi, venivano ad allenamento con entusiasmo consapevoli che era l’unica strada da percorrere per mantenere la categoria. 

Integrammo anche un lavoro mentale, per molti giocatori ancora sconosciuto, con visualizzazioni, visione di video motivazionali creati ad hoc per ogni giocatore, sessioni singole, video di squadra per trasmettere il senso di appartenenza e l’unione del team, incontri alla quale partecipavano tutti i componenti della squadra, anche i magazzinieri. 

I risultati si videro quasi subito, dopo un breve periodo di assestamento e comprensione della nuova metodologia di lavoro, i risultati cominciarono ad arrivare. I tifosi, che ormai lasciavano lo stadio semideserto, compresero la dedizione di questi ragazzi e l’impegno che ci mettevano per difendere i colori neroverdi e riprese a venire allo stadio. Totalizzammo 28 punti su 20 partite, una media punti di 1,41, che generalmente appartiene a squadre che ambiscono ad arrivare ai playoff. Raggiungemmo i playout dove arrivammo un pò con il fiato corto, una grande cavalcata che portò comprensibilmente ad un grande dispendio di energie, se in un circuito corri in macchina sempre a 200 all’ora, curve comprese, hai molte più probabilità di finire fuori strada. Noi non avevamo scelta. Dovevamo rischiare. 

Alla fine retrocedemmo ai playout, non riuscimmo a mantenere la categoria per un soffio, ma la cosa che ci impressionò maggiormente, è che i tifosi fuori dalla stadio e durante la sosta in autogrill di rientro da Monza, continuavano a tifare e fare i complimenti ai ragazzi per il loro impegno e la loro professionalità. E’ stata un’emozione fortissima che mi ha restituito la convinzione che quando lavori in sinergia tra tutte le componenti di un team, quando sei sincero e trasparente nei confronti dei giocatori e delle persone in generale, quando hai obiettivi chiari e riesci ad arrivare all’emozioni dei giocatori, i risultati arrivano. 

Il lavoro svolto a Pordenone non passò inosservato nell’ambiente, così il mister venne chiamato dalla Cremonese nel Gennaio 2015 per risalire la classifica che, per la ambizioni della società e del Cavalier Arvedi, era insoddisfacente. 

A Cremona si creò uno staff nuovo, dell’esperienza precedente solo io e il Mister cominciammo questa nuova avventura. Il nostro metodo ovviamente restò lo stesso, cambiarono gli interpreti dello staff, anche a Cremona di altissimo profilo, professionisti preparati e persone di valore, ma la metodologia utilizzata fu la medesima. Lavoro integrato fisico-tecnico-tattico e mentale con in aggiunta anche analisi video personalizzate ad ogni giocatore. 

Ricordo ancora il primo allenamento, arriviamo e subito contestazione dei tifosi alla squadra per lo scarso rendimento e il poco impegno. Io e il Mister ci guardammo negli occhi e ci dicemmo:” le cose facili proprio a noi non piacciono”, con conseguente risata e con quella positività che non ci è mai mancata. Cominciammo subito a coinvolgere tutti nel nostro modo di pensare la gestione di una squadra, i fisioterapisti e i massaggiatori erano increduli nel sentirsi coinvolti, fino ad all’ora dovevano solo massaggiare e comunicare all’allenatore solamente i problemi fisici dei giocatori. Il ruolo del massaggiatore invece, è  importantissimo e deve assolutamente essere coinvolto nel progetto, purtroppo nel mondo del calcio siamo ancora molto chiusi su queste dinamiche. 

Fortunatamente cominciammo a fare subito risultati, questo contribuì ad avvalorare il nostro lavoro e a vincere la diffidenza dell’ambiente. A distanza di qualche settimana facemmo aprire i cancelli del centro di allenamento per far entrare i tifosi e questo stupì tutti, i tifosi per primi, in società non erano molto convinti, fino ad allora nessuno mai lo aveva fatto. Invece fu una scelta azzeccata. Piano piano si sparse la voce e aumentarono i tifosi presenti che ci incoraggiavano, da qui nacque una cosa simpatica di un’anziano tifoso che attendeva il mister ad ogni allenamento, per offrirgli una caramella alla menta. 

Su questo noi crediamo, sul coinvolgimento di tutti gli stakeholder, tifosi compresi, sulla valorizzazione dei giocatori facendo crescere una mentalità vincente, portando un metodo di lavoro moderno e adeguato alle nuove generazioni.
Anche in Lombardia i risultati si videro, media punti di 1,86, la più alta dell’era Arvedi fino a quel momento, squadra dal 12° al 5° posto, ma soprattutto un bellissimo rapporto creato con le persone, che dura ancora a distanza di tempo. 

Lavorare in sinergia non è solo ad appannaggio del calcio professionistico, in una mia recente esperienza nel calcio semi-professionistico ho notato come, grazie alla lungimiranza di un direttore, si possa comunque lavorare bene anche nei dilettanti. Non serve solo il denaro, ma idee e obiettivi chiari. 

Da qui, a mio avviso, bisogna ripartire. Dai valori, dall’organizzazione, dalla scelta di professionisti che possano portare gli atleti a dare il massimo delle loro possibilità. Migliorare si può. Basta volerlo!