Da qualche anno seguo il calcio amputati e francamente devo dire che non mi aspettavo di vedere una così grande motivazione. Inizialmente credevo che il gioco fosse lento e per nulla avvincente, avevo la presunzione di riuscire a dare un grande sostegno a questi ragazzi, invece, dopo la finale di campionato, mi sono reso conto che mi hanno insegnato con l’esempio, cosa vuol dire essere vincenti. Loro lo sono in campo e fuori. Sono riusciti a coronare un sogno, riuscire a giocare a calcio nonostante la vita li abbia messi a dura prova.

In Europa si gioca in 7 giocatori (in Italia ancora in 5 ) un campo decisamente grande (60mX40m), i giocatori hanno l’arto inferiore amputato, il portiere un braccio e non può prendere la palla con i piedi fuori dall’area di rigore. Se il pallone colpisce la stampella e fallo di mano, viene considerato un prolungamento del braccio, l’agonismo e la determinazione sono uguali o superiori a i calciatori normodotati.

Il 2 Novembre scorso, con il Vicenza calcio Amputati, abbiamo preso parte alla finale di campionato a Lecce nel centro sportivo di Fabrizio Miccoli ex calciatore di Palermo e della Nazionale italiana, che da anni si sta prodigando per dare un futuro ai giovani pugliesi e che ha sostenuto la nascita della squadra amputati pugliese che ha preso il suo nome. Il campionato l’avevamo chiuso in testa con 20 punti, al secondo posto il Montellabate (Pesaro) 16 punti. Essendo il primo campionato, la FISPES (la federazione che gestisce il calcio amputati, da Giugno pare passi sotto la FIGC), ha deciso di creare due finali, uno per il terzo e quarto posto e una per il primo e il secondo posto.

Come ogni finale tutto può succedere, è il bello dello sport, i ragazzi erano molto nervosi e chiaramente in tensione, a posteriori forse troppa, il nostro gioco normalmente fluido risultava essere un po’ più impacciato e impreciso. Il coach quest’anno ha lavorato molto negli automatismi e nella precisione, avendo solo una gamba, il passaggio preciso diventa determinate per un buon controllo e un buon giro palla. La Squadra avversaria contrasta come può, con lanci lunghi e spesso ricorrendo a falli per bloccare il nostro gioco. Giungiamo così fino a due minuti dalla fine, quando l’arbitro ci fischia giustamente un rigore contro, che viene realizzato dal Montellabate. Abbiamo ancora un minuto a disposizione che giochiamo con grande attenzione, non ci siamo disuniti, abbiamo mantenuto la concentrazione riuscendo ad andare al tiro. Solo una stampella avversaria poteva fermare il pallone diretto in porta, rigore per noi. Giusto. La tensione è alta è pur sempre una finale, calciare quel rigore non è facile, in porta c’è un portiere decisamente bravo, tanto bravo che riesce ad indovinare l’angolo giusto intercettando il pallone che esce sul fondo.

Gli arbitri decretano la fine della partita, gli avversari giustamente esultano. A noi inizialmente resta la rabbia di aver vinto sulla carta un campionato e non poterlo festeggiare, nelle ore successive cresce la consapevolezza di aver fatto un grandissimo lavoro (miglio giocatore del campionato e miglior realizzatore), di aver creato un insieme di ragazzi uniti tra loro, una società strutturata che ci segue e non ci fa mancare nulla, uno staff preparato, guidato da un coach che per tutto l’anno ha dato l’anima per questi ragazzi.

Ho capito stando con loro, che tutti noi possiamo dare di più, che la forza è davvero nella nostra mente e che, come dicono loro, la disabilità è solo nella testa.